RELAZIONE
del GRUPPO di LAVORO dell'Ass. DIRITTI E DOVERI su:
“A che cosa
è servita tanta programmazione territoriale?”.
LA
GESTIONE DEL TERRITORIO: STORIA DI UN FALLIMENTO
Quando
in Europa sul finire degli anni “30 soffiavano i gelidi venti dei
regimi autoritari, e la nostra penisola non è stata certamente
immune da tali eventi, l’Italia, fra le poche in Europa e nel
resto del mondo, si distingueva per un atteggiamento del tutto
moderno e democratico nella gestione del territorio.
Le
devastazioni che avrebbe comportato il conflitto mondiale prossimo
venturo all’assetto del territorio, e con questo alle città, ai
borghi storici, alle campagne ed alle strade esistenti, che fino a
quel momento caratterizzavano l’assetto insediativo ed
infrastrutturale la nostra penisola, non erano neanche
minimamente immaginabili.
Quand’anche,
ben presto, si ebbe la certezza che i venti di guerra avrebbero in
qualche modo coinvolto in profondità gli italiani, chiamati a
combattere fuori dalle proprie terre, e la convinzione di essersi
imbarcati in una progetto folle cominciò a fasi largo nelle
coscienze degli italiani spodestando l’arroganza fascista che ormai
da un ventennio si era fatto largo nelle masse acritiche, mai si
sospettò minimamente che anche l’Italia avrebbe potuto divenire
essa stessa il teatro di una delle più feroci e stupide guerre,
anche fratricide, della storia recente dell’umanità.
E
nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quella devastazione
avrebbe in seguito dato origine, dalla fine delle guerra agli anni
successivi, alla più grande trasformazione in negativo del
territorio italiano attraverso un insieme convulso e irregolare
di interventi edilizi ed infrastrutturali che avrebbero cambiato
per sempre l’assetto dei nostri luoghi.
Sarebbero
sorte le periferie intorno alle grandi città. Polipi dai lunghi
tentacoli. Cancri urbani. Sarebbero stari ricostruiti interi isolati
multipiani in luogo delle palazzine di pochi piani abbattute dalle
bombe. Sarebbero sorte le baraccopoli. Sarebbero state costruite
nuove strade, ponti e gallerie talvolta senza logica e solo per
interesse privato. E poi fabbriche e poi ancora strade e nuove
case.
Nessuno
sul finire degli anni “30 avrebbe mai immaginato di poter scattare
una fotografia e di poterlo rifare 30 anni dopo con l’incredibile
risultato di non riconoscere più i luoghi originari.
Ma
se qualcuno per caso, in fondo a quell’abisso in cui stava per
cadere l’Italia, avesse avuto l’intuito di poter solo
lontanamente sospettare quale corso avrebbero preso gli eventi,
quale possibile soluzione avrebbe potuto ipotizzare con i mezzi
di cui disponeva allora?
“Nessun
problema”, avrebbe osato affermare.
Nessun
problema, perché nonostante tutto, in quell’Italia, già zeppa di
contraddizioni, una nota non stonata però sembrava davvero
esserci.
Si,
perché l'Italia nel 1939 era uno dei pochi Stati che, in assoluto
anticipo sui tempi, si erano già dotati di due leggi fondamentali
sulla tutela dell'ambiente e del patrimonio storico edilizio: la
legge 1497 sulla tutela delle bellezze d'insieme e dei sistemi
paesaggistici e la legge 1089 sulla salvaguardia dei monumenti.
Inoltre, da lì a tre anni, esattamente nel 1942, si sarebbe
dotata anche della legge fondamentale dell'urbanistica: la legge
1150, che, anch’essa in grande anticipo sui tempi, dettava norme
sull'obbligatorietà posta in capo ai Comuni di dotarsi di un Piano
Regolatore urbanistico, ovvero di uno strumento urbanistico che
regolasse lo sviluppo delle città e stabilisse regole ben precise
sul costruito e sull'edificato futuro che avrebbe interessato il
resto del territorio.
Com’è
strana l’Italia!
In
un'epoca piena di ombre dove addirittura si facevano, si approvano
e si applicavano leggi finalizzate a differenziare le razze, a
esaltarne in modo ignobile e disumano alcune rispetto ad altre,
introducendo pregiudizi aberranti e fuori da ogni elementare concetto
democratico e di libertà, su un altro binario, quasi del tutto
opposto, c'era un'altra Italia che invece stava cercando di
tutelare, per il bene comune, parti del territorio dalle
possibili trasformazioni che l'uomo moderno avrebbe potuto
arrecare, introducendo norme di tutela e regole sul costruito, a
beneficio di tutti, indistintamente.
Com’è
strana l’Italia!
Dunque
gli strumenti per ricostruire l’Italia dopo la grande tragedia
della seconda guerra mondiale c’erano già tutti. Bastava
applicarli.
Ma
allora perchè la ricostruzione non ha seguito quelle regole?
Perchè
sono state applicate solo in alcune parti del territorio?
Avevano
forse un difetto quelle leggi?
Come
la gran parte delle leggi italiane, in quelle leggi c'era un
rimando. L’inevitabile rimando che contraddistingue il sistema
giuridico italiano, dove la buona norma, quella consolidata
dall’uso comune costituisce giurisprudenza, come nei paesi
anglosassoni, di fatto non esiste o è sopraffatto dal “burocratese”!
Se
da un lato l'applicazione della nuova legge urbanistica (la legge
1150/1942) su tutto il territorio comunale restava solo una
facoltà (sarebbe divenuta un obbligo solo nel 1967 - ben 25 anni
dopo! - quando la ricostruzione era ormai già avvenuta nella sua
interezza), dall'altro l'applicazione delle leggi ambientali,
eccezion fatta per i monumenti ed alcuni sporadici decreti che hanno
tutelato solo alcune parti del territorio nazionale, sarebbe stata
rinviata a successivi provvedimenti che hanno cominciato a prendere
corpo solo nel 1985 con il decreto Galasso.
Il
1985! Già, il 1985!
Più
di 45 anni dopo!
Se
pensiamo che quell'intervallo di tempo racchiude di fatto gli
anni in cui il volto dell'Italia è cambiato definitivamente è
facile immaginare quanto e come l'Italia sia stata depauperata di
alcune bellezze naturali che invece avrebbero potuto essere
salvaguardate sin da subito e come, di contro, l’urbanizzazione
di gran parte del territorio italiano sia potuto avvenire liberamente
alla mercè di chi aveva tutto l’interesse di capitalizzare il
territorio a scopi privatistici e non di salvaguardarlo per il bene
comune.
E'
sufficiente pensare alle innumerevole costruzioni realizzate in
alvei fluviali o nelle vicinanze delle loro sponde. Infatti una
delle norme ambientali, mai poste in essere fino al 1985,
prevedevano proprio che le nuove costruzioni previste entro una
fascia di rispetto di 150 metri (per lato) lungo le acque
pubbliche dovessero essere preventivamente autorizzate sotto il
profilo ambientale.
Quante
di queste costruzioni (abitazioni, capannoni, anche scuole o altri
servizi in genere) lo sono state?
E
quante di queste oggi sono state interessate da fenomeni alluvionali
o si trovano in aree a rischio idrogeologico?
Quanti
sono i danni subiti dagli utilizzatori di tali manufatti e quanti
sono inoltre quelli sostenuti dalla pubblica collettività per
risanare ogni volta le criticità che si sono ripetute nei corso
degli anni, soprattutto gli ultimi, a seguito di alluvioni,
esondazioni, frane o quant'altro?
E
così arriviamo al 1967.
Sono
ormai trascorsi più di 25 anni dall'uscita delle leggi
urbanistiche ed ambientali. Il boom edilizio ed economico è in
pieno atto. Le città si sono trasformate. Altre lo stanno
ancora facendo. Alcune seguendo i primi Piani regolatori del dopo
guerra, altre in modo convulso ed irregolare, dando origine a
periferie con la sola funzione di inscatolare gente come sardine,
prive di ogni servizio comune e di conseguenza fonti di criticità
di natura sociale.
Ma
per fortuna alla fine degli anni “60 gran parte del territorio è
ancora immune dalla speculazione edilizia.
“Siamo
ancora in tempo”. Verrebbe da esclamare. Serve una legge. Una
legge che regolamenti l'obbligatorietà che ad ogni metro cubo in
più di costruito corrisponda un ben determinato e corrispondente
spazio o servizio pubblico (servono scuole, spazi verdi attrezzati
pubblici, strade e una rete di servizi di collegamento pubblico,
parcheggi pubblici, servizi pubblici, etc.).
In
proposito uscirà un Decreto Ministeriale nel 1968.
Serve
poi una legge che estenda l'obbligatorietà di regolamentare
l'espansione edilizia anche su tutto il resto del territorio.
In
proposito uscirà la cosiddetta legge Ponte nel 1967.
Ecco,
finalmente, dopo le leggi del 1939 e del 1942, che hanno fatto la
teoria, ora gli strumenti operativi ci sono.
Ma
anche stavolta le leggi non impongono obblighi di tempistiche e
così siamo nuovamente punto e a capo.
Intorno
all’edilizia ruotano interessi enormi. Dov’è l’interesse a
limitarne l’uso ed il consumo?
Così
tutto va al rallentatore e le istituzioni sembrano avvallare
responsabilmente tale andamento.
I
Comuni un poco alla volta cominciano a dotarsi dei primi Piani
Regolatori estendendo la regolamentazione su tutto il loro
territorio, ma a farlo, a partire dagli anni 70, sono in pochi.
Intanto il boom edilizio assorbe nuova linfa.
Ormai
siamo agli inizi degli anni "80. Una nuova stagione per
l'edilizia. Quella industriale. Quella in serie. Quella più
pericolosa. Quella dove la speculazione comincia a lasciare impronte
indelebili. Quella che graffia le colline. Quelle che pianta
fondazioni di cemento in zone esondabili. Quella che fa assumere
alle periferie la forma di alveari impazziti. Quella che comincia
ad interessare anche le campagne e le colline dei centri minori.
Confrontate
una fotografia del nostro territorio degli anni “60 e rapportatela
con alcune fotografie della fine degli anni “80. E' sufficiente
soffermarci sulla bassa piana della Magra. Da Massa alla Spezia.
Un
vero e proprio processo di conurbazione (termine coniato dal grande
urbanista e sociologo inglese Patrick Geddes) ha interessato tutta
la piana.
Conurbazione
significa essere andati oltre il processo di urbanizzazione.
Significa non avere più uno spazio libero, ma una sola ed unica
edificazione continua e sistematica.
Significa,
per i nostri luoghi, avere per sempre cancellato la maglia
dell'antica centuriazione romana che aveva caratterizzato e
delineato l'assetto del nostro territorio per oltre 2000 anni.
Ma
ormai è troppo tardi. Il dado è tratto.
Nel
1985 quando ormai molti Comuni cominciano ad essere a regime
ciascuno con il proprio Piano Regolatore operativo, il peggio ormai
è stato fatto. Le colline sono state sventrate. Il loro assetto
idrogeologico indebolito. Le piane sono state occupate. Il corso dei
fiumi ristretto. Il deflusso delle loro acque limitato o occluso.
Il cemento intanto ha ridotto le aree permeabili. Gli storici
canaletti di scolo sono stati sbarrati o ricoperti.
Una
sola domanda affligge il legislatore urbanistica nel 1985: cosa
fare di tutte queste migliaia di costruzioni realizzate in
assenza di regole precise?
Abbatterle?
Abbatterle
o sanarle?
Sanarle!
Ecco la giusta soluzione. Ecco la soluzione più semplice. Ecco
l’ennesimo errore.
Inizia
la stagione dei condoni. Dapprima con un provvedimento
straordinario, ma poi con cadenza regolare. Il condono raccogli
consensi, si sa! Consensi immediati. Il contrario del conto che sarà
loro presentato anni ed anni dopo, quando le mutate condizioni
climatiche devasteranno i luoghi impunemente occupati dall’uomo.
Nel
1985 esce la legge fondamentale sull'edilizia che inasprisce le
sanzioni penali in materia di abusi edilizie, ma che, allo scopo di
fare un punto zero, in realtà da il via alla stagione dei condoni
edilizi.
Condoni
che da quella data si sono succeduti con una sconcertante
ripetitività temporalità.
Ogni
9 anni! Esattamente ogni 9 anni ne esce uno.
Il
primo nel 1985
Il
secondo nel 1994
Il
terzo nel 2003
Il
quarto, latente ed ancora sotterraneo, ma destinato a diffondere i
suoi effetti nel prossimo futuro, concretizzato nella sanatoria
catastale introdotta con una normativa del 2012 (sempre dopo nove
anni!)
9
anni. Esattamente il tempo necessario affinché una pratica di abuso
edilizio possa tranquillamente percorrere indenne tutto le fasi
giudiziarie dal classico ricorso al TAR, attraverso l'appello ed in
ultimo il ricorso al Consiglio di Stato.
Ora
la domanda che sorge spontanea è: a cosa è servita la
strumentazione urbanistica che avrebbe dovuto regolamentare,
contenere e riqualificare lo sviluppo urbanistico del nostro
territorio?
Ha
senso nel 2014 incattivirsi con il funzionario di turno o il
Sindaco in carica che deve garantire la sicurezza di milioni di
abitazioni costruite in luoghi che per loro natura e vocazione erano
invece deputati a contenere il deflusso delle acque o che per
fragilità geomorfologica non erano assolutamente propensi a
ospitare nuove edificazioni?
Ha
senso indignarsi con un Sindaco appena eletto che si ritrova ad
affrontare di continuo situazioni di emergenza dovute, si alle
mutate condizioni climatiche ma anche e soprattutto ad una
scellerata gestione del territorio condotta in modo continuato ed
indiscriminato negli ultimi 50 anni?
Chi
deve realmente essere condotto sul banco degli imputati?
E
quali interventi devono essere assunti oggi per riparare a questi
danni?
La
storia esige dei responsabili. La storia, quella vera, è questa. E’
fatta di fatti. E’ fatta di nomi. Ed i nomi ci sono tutti. Sono
scritti sulle leggi che si sono succedute in Italia negli ultimi 50
anni.
Poi
fatto questo, scritta la pagina ed assegnate le responsabilità,
occorre voltarla quella pagina. Voltarla e ripartire. Questa volta
con l’approccio giusto.
Consegnamola
questa Italia a chi è indenne da lobby o giochi potere.
Facciamolo con fiducia. Voltiamo le spalle agli intrighi di potere.
C’è molto da salvare ancora. C’è da intervenire con rapidità
inaudita. C’è da preparare bende e medicine. Ci sono diagnosi da
redigere e cura da seguire. Il nostro territorio può essere curato
solo dalla conoscenza della storia e di quello che è stato.
C’è
da pagare il conto. E quelli che hanno mangiato finora lo hanno
lasciato da pagare alle nostre generazioni. C’è da vergognarsi.
Dobbiamo imparare a farlo. Perché a farci vergognare non sono stati
i nostri nonni, che per l’Italia sono morti, ma la generazione
successiva, che è cresciuta nel benessere ed a pensato che fosse
cosa dovuta.
C’è
una nuova generazione da crescere e sulla credere e sperare.
Il
nostro territorio va amato e non violentato.
LA
PIAGA DEI CONDONI EDILIZI ?
DAL
1985 AL 2003 SI SONO SUSSEGUITI 3 CONDONI EDILIZI !!!
L’ECCESSIVA
BUROCRAZIA NORMATIVA?
MOLTE
NORME SI CONTRADDICONO FRA DI LORO E RISULTANO DI DIFFFICILE
APPLICAZIONE
LA
SCARSA COMUNICABILITA’ FRA AMMINISTRAZIONI DELLO STATO, DELLA
REGIONE, DELLA PROVINCIA E LOCALE?
LE
AMMINISTRAZIONI CENTRALI NON CONOSCONO I VERI PROBLEMI CHE
AFFLIGGONO LE AMMINISTRAZIONI LOCALI
LA
MANCANZA DI UNO STRUMENTO DI PIANIFICAZIONE MODELLO PER TUTTI I
COMUNI CHE PARLI UNO STESSO LINGUAGGIO ?
OGNI
COMUNE E’ DOTATO DI UN PIANO URBANISTICO CHE PARLA UN LINGUAGGIO
DIVERSO RISPETTO AL COMUNE LIMITROFO