Intervento
al Convegno
“Democrazia è Partecipazione…è Trasparenza…è gioia di
vivere” dell’Avv.
Prof. Daniele Granara “La
forza della Costituzione”,
tenutosi al Centro Ca’ Lunae il 1 giugno 2018.
Nello
stato di crisi in cui versa il nostro Paese, che coinvolge non solo
l’ambito economico e sociale ma anche gli assetti istituzionali,
l’unico dato fermo che indica la strada da seguire per non
deragliare, nonostante la deriva in cui ci troviamo, è rappresentato
dalla Costituzione, quale fondamento delle nostre libertà e del
nostro pluralismo valoriale, che ha resistito e resiste da
settant’anni ai mutamenti dei sistemi e movimenti politici, dei
partiti e dei governi di qualunque natura.
La
Costituzione ha disegnato una forma di governo a protezione dei
valori liberali e democratici, che ha consentito a tutte le forze
politiche (proprio tutte, anche a quelle proclamatesi anti-sistema),
di assumere responsabilità di governo e di misurare le proprie linee
programmatiche con i problemi del Paese.
Ciò
è avvento dall’epoca della ricostruzione dalle macerie della
guerra, a quella della trasformazione del Paese, sino ad allora
essenzialmente agricolo, in una delle più grandi realtà industriali
del mondo; da quella dell’avvento della tecnologia post
industriale, con la necessaria riconversione dei modelli produttivi
ed i relativi costi sociali, a quella, che stiamo vivendo, della
globalizzazione, non solo economica e propria dei mercati ma anche
delle persone, cagionando o comunque favorendo l’imponente fenomeno
delle migrazioni.
Nonostante
tutti questi rivolgimenti, che hanno portato con sé problematiche
diffuse ed articolate, la Costituzione è sempre lì ad indicare la
strada e a costituire un baluardo per ciascuno di noi.
Malgrado
il tentativo, avvenuto nel 2016, di stravolgere addirittura la forma
di stato, con modificazioni così profonde da porre in discussione
gli stessi principi di libertà, democrazia e sovranità popolare, la
Costituzione ha resistito, dimostrando una forza fino ad allora da
pochi conosciuta, che è la forza dei suoi principi universali di
riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili e delle libertà
civili, nonché di una forma di governo quale modulazione
dell’esercizio del potere ancillare e strumentale rispetto alla
tutela effettiva e costante di predetti principi.
La
Costituzione non vuole che essi rimangano sulla carta e costituiscano
un elemento astratto e decorativo, ma impone al potere pubblico di
uniformare la propria azione a missioni promozionali che rendano
effettivi i diritti sanciti dalla Carta, tra i quali emergono sul
versante sociale, il diritto alla salute, il diritto ad un ambiente
sano, il diritto all’istruzione e sul versante economico, peraltro
connesso con quello sociale, il diritto al lavoro e la libertà di
impresa.
Di
qui i due gravi problemi che costituiscono purtroppo per il nostro
Paese i principali ostacoli al raggiungimento degli obiettivi posti
dalla Costituzione: il problema dell’Amministrazione ed il problema
della Magistratura.
Come
si può osservare, non ho indicato quale problema il parlamento,
poiché il nostro Paese non ha bisogno di nuove leggi, avendone già
oltre 120 mila a fronte di un numero assai inferiore degli altri
Paesi avanzati (sempre per quello che valgono tali indicazioni, che
appaiono, peraltro, indici di una qualche significatività).
In
Italia, come tutti avvertono, non c’è bisogno di nuove leggi né
di un riformismo a getto continuo, poichè la vera sfida, finora
perduta, è quella dell’applicazione delle leggi esistenti, compito
dell’amministrazione e della giurisdizione.
Sotto
il primo profilo, la Costituzione prevede che l’azione
amministrativa sia improntata ai principi di imparzialità e buon
andamento (art. 97 Cost.), quest’ultimo declinato dall’art 1
della legge generale del procedimento amministrativo (Legge 7 agosto
1990, n. 241) nelle note tre “E”: economicità, efficacia ed
efficienza. Altre tre “E” esprimono l’imparzialità: esempio,
equilibro ed equità. La sintesi delle sei “E” integra il
principio generale di proporzionalità dell’azione amministrativa
rispetto agli obiettivi da perseguire.
Questo
la Costituzione vuole che sia l’Amministrazione. Questo, nel nostro
Paese, l’Amministrazione non è.
Donde
il grave problema di un apparato amministrativo autoreferenziale, che
non si pone come dovrebbe, in ossequio ai predetti canoni, al
servizio dei cittadini e degli operatori economici ma che in ragione
della sua deprecata autoreferenzialità, non di rado, traligna in
irresponsabilità, ostacolando ingiustificatamente tante buone
iniziative di rilievo economico e sociale e favorendone talvolta di
dannose.
Se
un certo grado di inefficienza amministrativa, seppur censurabile,
può tuttavia essere sopportato durante periodi di espansione
economica, nelle fasi di stagnazione e peggio ancora di recessione
come quella che perdura da un decennio, nessun grado di inefficienza,
neppure minimo, è consentito, perchè comporta spese inutili e
mancati utili, conseguenze inammissibili in siffatto contesto.
Non
solo.
Il
Patto di stabilità, che virtuosamente ci impone il Trattato di
Maastricht del 1992 per far sì che l’Euro rimanga moneta vera e
forte, non svalutabile, ossia il binomio per cui il deficit ed il
debito non possono superare rispettivamente il 3% ed il 60% del PIL,
con progressiva tendenza, di anno in anno, al pareggio di bilancio,
richiede rigore finanziario, che già di per se esclude spese inutili
ed ingiustificate e rende più pressante la necessità di buon
andamento dell’Amministrazione, come indicato, con straordinaria
preveggenza, dall’art. 97 Cost.
Di
qui l’incongruenza di qualsiasi affermazione critica nei confronti
dell’Euro, che costituisce, con il Patto di Stabilità, da cui è
inderogabilmente assistito, l’unico vero argine al progressivo
indebitamento del Paese (e quindi al suo fallimento) e
l’implausibilità concreta, oltre che la giuridica impossibilità
di qualsiasi prospettiva di uscita dalla moneta unica.
Trattasi
di una proposta velleitaria che, da un lato, esprime un intento
demagogico, come tale censurabile, e dall’altro, ed è più grave,
una violazione del principio fondamentale stabilito dall’art. 11
Cost. che sancisce, nell’ambito del principio internazionalista
(anche se non di moda in tempi di “sovranismo”, concetto estraneo
alla Costituzione, per la quale la sovranità appartiene al popolo e
non al governo), che la limitazione di sovranità, a cui l’Italia
ha consentito con l’ingresso nell’Euro, sia irrevocabile.
Il
secondo problema, sempre nell’ambito applicativo della legge, è
quello della Magistratura, soprattutto ordinaria.
La
Costituzione prevede per l’ordine giudiziario precise e peculiari
garanzie di indipendenza funzionale e strutturale, autonomia e
terzietà. Tali caratteri sono indispensabili per assicurare il
corretto esercizio della funzione giurisdizionale a tutela dei
diritti e degli interessi legittimi (artt. 24, 103 e 113 Cost.)
La
delicatezza della funzione richiede che sia esercitata da magistrati
preparati ed esperti, ossia dotati di conoscenze giuridiche derivanti
da serietà di studi, e di esperienza, che solo l’incedere della
vita può dare. Non basta la preparazione ma è necessaria
l’esperienza per ben giudicare!
La
Magistratura italiana difetta purtroppo, in misura inaccettabile, sia
dell’una sia dell’altra, e da qui nasce la sfiducia dei cittadini
e degli operatori economici.
Occorre
ricostruire una classe di magistrati autorevoli preparati ed esperti,
formati da studi rigorosi e da esperienza almeno decennale in campi
professionali qualificati, come avviene negli altri grandi Paesi
europei.
È
evidente che la Magistratura svolge un ruolo decisivo per la garanzia
effettiva dei diritti personali e patrimoniali, con rilevante
incidenza sulla certezza dei rapporti giuridici, sull’affidabilità
degli investimenti e alfine sulla tenuta del sistema economico.
Rendere
l’amministrazione e la giurisdizione conformi a Costituzione è
pertanto un imperativo ineludibile, per non dire categorico, se
vogliamo invertire la rotta e traguardare la ripresa.
Avv.
Prof. Daniele GRANARA
Docente
di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Genova e
di Diritto Regionale all’Università degli studi di Genova e “Carlo
Bo” di Urbino